COSA SONO E COME GESTIRE I CONTRATTI DI AUTOREGOLAMENTAZIONE IN ITALIA

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Storicamente, nei sistemi di civil law, la tendenza è sempre stata quella di redigere contratti commerciali e societari brevi, volti a disciplinare in modo dettagliato l’accordo delle parti laddove questo si aggiunga o deroghi alla disciplina codicistica del relativo istituto o contratto tipico.  Non è nostra abitudine inserire clausole generali che regolino, per esempio, la forza maggiore, la definitività dell’accordo o la nullità parziale.  Ciò perché siamo abituati a pensare che, anche in mancanza di specifico rimando, la normativa generale del codice civile si applicherà al nostro rapporto contrattuale di default.  Le aree grigie che potrebbero sorgere nell’interpretazione o nell’esecuzione del contratto vengono lasciate alle regole generali dettate dal codice civile e dalle leggi speciali, così come alla dottrina e giurisprudenza che negli anni ne hanno orientato l’interpretazione e chiarito l’applicazione ai casi di specie.  Vige un dialogo aperto tra il rapporto regolato dal contratto e i principi generali dettati dalla normativa generale, e questo dialogo è nutrito da continui richiami, siano essi espliciti o implicitamente dettati da una mancata regolamentazione espressa.

 

Questo “agio” professionale è venuto meno mano a mano che i rapporti commerciali e societari da disciplinare contrattualmente iniziavano ad avere tinte sempre più internazionali.  In un rapporto tra parti contrattuali appartenenti a paesi diversi, e quindi a diversi sistemi giuridici, quale sarà la regola generale da applicarsi alle aree grigie che non sono state specificatamente dettagliate in contratto? 

 

Consideriamo un caso pratico: siamo stati incaricati da un cliente di redigere un contratto di distribuzione con un suo importatore statunitense.  In base ai nostri principi generali di diritto internazionale privato e processuale, la legge applicabile al rapporto – in assenza di diverso esplicito accordo – sarebbe, nel caso specifico, la normativa dello stato USA ove il distributore ha la propria sede legale.  Avremo il potere negoziale di imporre, quale legge applicabile scelta dalle parti, il diritto italiano?  Il contraente straniero accetterà che il contratto riporti richiami e rimandi al nostro codice civile (che non conosce)?  Passando alla giurisdizione, la controparte accetterà che una eventuale disputa contrattuale venga decisa da un tribunale italiano?  D’altro canto, potremmo consigliare al cliente, a cuor leggero, di accettare che il rapporto venga regolato dalle leggi dello Stato del Wisconsin (che noi non conosciamo)?

 

A fornire una soluzione al problema sono stati gli anglosassoni, già per mentalità adusi a stilare contratti dettagliati ed esaustivi in ragione del loro sistema giuridico di common law che, contrariamente ai sistemi di civil law, non prevede regole generali codificate.  Con l’incrementare degli scambi internazionali, infatti, hanno iniziato a circolare anche in Italia modelli contrattuali di origine anglosassone contraddistinti da un significativo dettaglio endo-contrattuale volto a definire ogni termine, ogni evento di danno, ogni procedura di indennizzo, e perfino gli eventi di forza maggiore con un puntiglio meticoloso che non lascia spazio né all’interpretazione né all’integrazione con principi generali. 

 

Ferme restando le norme inderogabili proprie di ciascun sistema giuridico, vige quasi ovunque il principio dell’autonomia contrattuale delle parti.  Il self regulatory agreement di stampo anglosassone tende ad offrire un modello contrattuale che espliciti in modo dettagliato tutti i meccanismi di gestione del contratto in ogni sua fase, dalle dichiarazioni di garanzia alle modalità di esecuzione, dai rimedi in caso di inadempimento ai tempi e i modi per azionarli, riportando, infine, tutte le condizioni generali applicabili al rapporto.  Tra le condizioni generali più comunemente riscontrabili in un self regulatory agreement vorrei segnalarvi la clausola comunemente denominata “No Waiver[1].  E’ una disposizione contrattuale volta a proteggere la parte che, in un contratto di durata, tolleri un inadempimento dell’altra parte senza contestarlo e/o senza azionare apposito rimedio.  Vi faccio un esempio pratico: il distributore del vostro cliente non rispetta da anni i volumi minimi annuali di acquisto pattuiti in contratto.  L’export manager del vostro cliente non ha mai contestato l’inadempimento nonostante il fatto che il contratto elenchi il mancato raggiungimento dei minimi di acquisto tra gli inadempimenti sostanziali che danno al preponente la facoltà di risolvere il contratto.  Il nuovo export manager si accorge del problema e intende risolvere il rapporto e cambiare distributore.  Con la nostra No Waiver Clause, il distributore non potrà eccepire che l’inerzia del preponente possa considerarsi tolleranza e costituire modifica per facta concludentia degli accordi e il vostro cliente potrà serenamente azionare la clausola risolutiva espressa per il mancato raggiungimento dei volumi minimi.

 

I vantaggi dei self regulatory agreements sono innumerevoli.  Presentano una struttura di cornice in grado di adattarsi a qualsiasi rapporto commerciale (fornitura, agenzia, distribuzione, licenza, consulenza, ecc.) o societario (JV agreement, compravendita di azioni, cessione di azienda).  Il contratto è dettagliato in ogni sua parte e disciplina espressamente il rapporto tra le parti sia nella fase fisiologica sia in quella (eventuale) patologica.  L’intento dei self regulatory agreements è quello di ricondurre ogni possibile azione e reazione delle parti a quanto predisposto espressamente nel contratto, in tal modo evitando l’applicazione di disposizioni di legge che vadano a sopperire all’assenza di esplicita regolamentazione.  Si riduce quindi al minimo l’alea data da richiami a disposizioni normative che, in un rapporto internazionale, possono esserci ignote (si pensi a un contratto cui sia applicabile, per esempio, la legge dell’Ucraina).

 

Il rischio si riduce, ripeto, ma non si annulla.  Vi faccio un esempio.  Anni fa, per una serie di motivi tra cui continui ritardo nelle consegne, un mio cliente voleva chiudere con il proprio fornitore americano.  Il contratto era fissato a tempo determinato, non prevedeva il diritto di recesso e non conteneva alcuna clausola risolutiva espressa.  Tuttavia, la clausola di Governing Law prevedeva l’applicazione del diritto italiano.  Avvalendomi dell’articolo 1454 c.c., inviai al fornitore una diffida ad adempiere e, decorso il termine ivi concesso per sanare gli inadempimenti, comunicai al fornitore che il contratto era da considerarsi risolto.  Il fornitore americano replicò furibondo: “You cannot terminate our agreement!  The agreement does not provide any way out until expiry”.  Non avevano previsto che la legge applicabile al contratto, a loro ignota, avrebbe potuto fornire uno strumento per risolvere il rapporto di diritto.  Non si può prevedere e prevenire tutto.  Ma ci si può provare.

 

Avv. Marzia S. Zambon – Missale & Partners

 

 

[1] Example of No Waiver Clause: Any failure by the Principal to enforce any of its rights under this Agreement or under the applicable law shall not be deemed as a waiver of its rights against any subsequent breach or default of such or any other kind and shall in no way affect the Principal’s right to enforce its right.

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