In Italia i due terzi del carico di lavoro in famiglia è svolto dalle donne, pari al 67% contro il 33% degli uomini. In provincia di Bergamo la differenza percentuale di retribuzione media annua da lavoro dipendente tra uomini e donne supera i 10.000 euro. Essere donna oggi nel nostro Paese è ancora “penalizzante” ma qualcosa sta cambiando.
Lo hanno spiegato i relatori del convegno dal titolo «La parità di genere: mete raggiunte, obiettivi da conquistare», organizzato nell’Auditorium Calegari lo scorso 3 giugno da Confartigianato Imprese Bergamo insieme alla Federazione Maestri del Lavoro d’Italia (Consolato provinciale di Bergamo) e in collaborazione con il Movimento Donna Impresa di Confartigianato Imprese Bergamo, il Gruppo Maestre del Lavoro, il Consolato Unci Bergamo e il Gruppo Donne Unci.
Compito dell’incontro, moderato da Susanna Pesenti, giornalista de L’Eco di Bergamo e introdotto dai saluti del presidente Giacinto Giambellini, del console provinciale della Federazione Maestri del Lavoro Luigi Pedrini, della presidente del Movimento Donne Rita Messina Moretti e della coordinatrice provinciale del Gruppo Maestre del Lavoro Anna Piazzalunga, è stato quello di spiegare lo stato dell’arte e i mutamenti nel tempo della condizione e del ruolo femminile, a livello europeo, nazionale e bergamasco.
Licia Redolfi dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia ha illustrato i numeri chiave dell’occupazione femminile in provincia di Bergamo. Nel 2018 le donne occupate erano 194.000, pari al 40,6% del totale degli occupati. In 10 anni, dal 2008 al 2018 le donne occupate sono aumentate di 16 mila unità mentre gli uomini sono calati di 2 mila. Cresce l’offerta di donne nel mercato del lavoro, con il tasso di attività passato dal 53,9% del 2008 al 58,2% del 2018 (nonostante Bergamo sia l’ultima della Lombardia), una crescita dovuta a cambiamenti culturali, aumento del livello di istruzione, processo di terziarizzazione dell’economia, aumento delle occupate straniere nei servizi alle famiglie, inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione.
Anche il tasso di occupazione femminile pari al 54,8% è in aumento di 3,2 punti dal 2008 (superando i livelli pre-crisi) ma rispetto al tasso maschile 76,3% c’è un gap di 20 punti.
In Lombardia rispetto a 10 anni fa si riscontra un aumento delle laureate, delle dipendenti, del tempo parziale e del tempo determinato anche se le dipendenti a tempo indeterminato sono la maggioranza (86,4%). Le donne lombarde sono sempre più formate, tanto che sul totale degli occupati laureati rappresentano il 53,7% rispetto al 46,3 dei maschi, inoltre tra le donne dai 30 ai 34 anni il 40,3% ha conseguito un titolo universitario, rispetto al 27,1 dei maschi.
C’è quindi un gap di genere a favore delle donne lombarde, più istruite, formate e acculturate, ma c’è un grosso gap di genere a sfavore: la quota di donne sovra istruite (cioè che svolgono mansioni di livello più basso rispetto al titolo di studio conseguito) è più alta rispetto agli uomini. Da segnalare soprattutto una differenza di retribuzione media annua di circa 9700 euro e una differenza del 5% per quanto riguarda la quota di mancata partecipazione al lavoro.
I dati si confermano anche a livello provinciale: siamo secondi in Lombardia dopo Lecco per gap retributivo più elevato (10.331 euro pari a una differenza del 36,6%) e il tasso di mancata partecipazione è del 13,1%, il doppio di quello degli uomini pari al 6,6%.
Inoltre si segnala un’asimmetria di genere nella distribuzione dei carichi di lavoro: la differenza di ore giornaliere dedicate al lavoro retribuito e di cura è a carico delle donne che lavorano 52 minuti in più degli uomini, di cui 3,45 ore dedicate ai carichi domestici rispetto alle 1,32 ore degli uomini.
La flessibilità sul lavoro aiuta la conciliazione e aiuta la donna a rimanere nel mercato del lavoro, ma esiste una forte disparità tra le donne senza figli e quelle con figli: fatto 100 le donne senza figli che lavorano, quelle con figli sono il 79%, con un gap di 21 punti percentuali. I riflessi a livello demografico sono la diminuzione del tasso di fecondità, a Bergamo dell’1,45 (numero medio di figli per donna).
La maggiore flessibilità a gestire gli orari e i tempi è la motivazione che spinge la donna a mettersi in proprio. Le imprese femminili in Lombardia sono 179.399 di cui 38.579 artigiane (21,5%). A Bergamo sono 18.781 di cui 4.748 artigiane (25,3%, pari a una su 4). Di queste l’86,8 è over 35 anni mentre il 13,2 è under 35. Quelle straniere sono il 12%.
Di seguito l’intervento di Pia Locatelli, ex parlamentare europea e presidente onoraria dell’Internazionale Socialista Donne, che ha raccontato la storia dell’Europa attraverso la descrizione delle figure femminili che l’hanno animata.
“Non è sempre chiaro – ha detto – quanto le donne abbiamo contribuito a far crescere l’Europa, quanto alle donne sia convenuta l’Europa e quanto i progressi europei abbiamo dato impulso alle legislazioni dei Paesi Europei in materia di parità. Nella storia d’Europa sentiamo spesso parlare di uomini, ma ci dimentichiamo il ruolo importantissimo delle donne”.
Locatelli ha raccontato la storia delle donne d’Europa, iniziata con il manifesto europeo di Ventotene, uno dei testi fondanti dell’Unione europea, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e divenuto famoso grazie a una donna, Ursula Hirschmann che lo diffuse portandolo sul continente. La storia continua con la firma del Trattato di Roma, nel 1957, immortalata da una foto: nella foto solo uomini, nessuna donna, un segnale della partecipazione ufficiale delle donne alle politiche europee. Tuttavia l’Europa parte subito bene con l’articolo 119 sulla parità salariale. Un passo positivo nato però non per favorire le donne, bensì per combattere la concorrenza sleale dei paesi con un’alta occupazione femminile. “Fu in ogni caso la prima di tante battaglie per la parità”.
Il racconto prosegue con la riscoperta di altre donne famose come Simone Veil, ebrea deportata ad Auschwitz che nel 1974 fu ministra in Francia e nel 1979 fu la prima donna presidente del Parlamento Europeo. “Nel 1958 il primo parlamento europeo eletto dai rappresentanti nazionali aveva 142 membri e solo 2 donne – ha sottolineato Locatelli – in 20 anni le donne non arrivarono mai al 5%, solo nel 1979 con l’aumento dei membri del parlamento, le donne arrivarono al 17%”. Negli anni 80 si diversifica l’ambito di azione, non solo salario e sicurezza sociale, ma anche conciliazione della vita domestica e lavorativa e, verso la fine del decennio, lotta alla violenza contro le donne e istituzione del gender budgeting (in modo che i fondi venissero destinati valutando gli impatti sugli uomini e sulle donne). Negli anni 90 entrano in Europa i paesi nordici e portano unna tradizione di welfare state particolarmente attento alle donne. E in parallelo aumenta la presenza delle donne nelle istituzioni. Oggi, con queste ultime elezioni europee sfioriamo il 40%. L’Italia è quasi a quel livello ma il 10% delle donne nel governo è stato superato solo nel 2008.
“Dobbiamo tanto all’Europa – ha concluso – ma non bisogna abbassare la guardia: ancora oggi servono delle misure positive che in qualche modo forzino la situazione e impongano le donne nelle varie istituzioni”.
A questo proposito occorre ricordare che il Consiglio Europeo per l’occupazione la politica sociale la salute e i consumatori riunitosi a Bucarest ad aprile 2019 ha fatto il punto della situazione sull’integrazione di genere nella dimensione sociale nell’Europa dopo il 2020, prendendo atto che l’uguaglianza di genere e l’indipendenza economica delle donne sono essenziali per una crescita economica e sostenibile e come tali sono uno degli obiettivi dell’UE.
La parlamentare Elena Carnevali ha illustrato la situazione italiana ribadendo che l’uguaglianza di genere è una pietra miliare per gli Stati moderni. L’indice di uguaglianza di genere in UE si basa su 6 aspetti: potere, tempo, conoscenza, denaro, salute, lavoro. Il tempo è l’unico aspetto ad aver registrato un calo in 10 anni, il che significa che le disuguaglianze di genere nel tempo dedicato ai lavori domestici e all’assistenza o alle attività sociali sono in aumento.
Sotto l’aspetto dell’istruzione, in Italia i laureati con lode sono per il 60% donne, mentre il 17% delle donne completa gli studi rispetto al 13% degli uomini.
Per quanto riguarda il denaro, il reddito guadagnato dalle donne è in media del 21% inferiore ai maschi, ma si riscontra un miglioramento, visto che la differenza nel 2008 era del 28%.
I 2/3 dei carichi di famiglia (67%) sono svolti dalle donne tra i 25 e i 44 anni, 10 anni fa era il 72. Avere figli è un fattore penalizzante: il 27% abbandona il lavoro dopo la prima maternità. Nel 2017 il tasso di occupazione delle donne in coppia senza figli era del 70.8% mentre per le madri era del 56.4%. “La differenza – ha detto Carnevali – la fanno i sistemi di welfare: in Italia abbiamo fatto passi avanti ma mancano misure strutturali e pianificazione continua.
Siamo al 118esimo posto su 140 (i peggiori in Europa) per partecipazione femminile alla vita economica del Paese La disoccupazione delle donne è di tre punti percentuali più elevata di quella maschile. Il part time, molto spesso imposto, riguarda il 40% delle lavoratrici e il 16% dei lavoratori.
Nel 2016, l’80% dei dipendenti uomini è a full time e a tempo indeterminato, mentre per le donne la percentuale scende al 57%. Le donne imprenditrici in Italia sono quasi 700 mila e rappresentano il 26% del totale degli imprenditori.
In ultimo le donne in politica: le elette al Parlamento europeo sono il 40, nel Parlamento Italiano il 34%, nei Consigli regionali italiani le donne sono soltanto il 18%, mentre le donne sindaco nel 2019 sono soltanto il 14.23% del totale.
In buona sostanza la situazione della parità di genere nel nostro Paese è ancora disequilibrata, benché in miglioramento. Le donne, nonostante abbiano spesso livelli educativi più alti, hanno più difficoltà ad accedere al mondo del lavoro con occupazioni e contratti di qualità. In tutto questo esiste infine una forte disparità geografica tra Nord e Sud Italia.
“Il ruolo della politica – ha concluso Carnevali – deve essere quello di attuare politiche strutturali capaci di aiutare le donne a realizzare i propri obiettivi lavorativi con misure strutturali, idonee politiche di welfare, incentivi per l’occupazione e per l’imprenditorialità femminile, facendo in modo che le donne raggiungano anche ruoli di comando.
Infine la presidente della Consulta ANCI Giovani Lombardia Valentina Ceruti ha presentato un focus sulle prospettive giovanili della parità di genere, ricordando le risultanze della riunione a Bucarest del Comitato europeo delle Regioni organo di rappresentanza degli enti locali in Europa che ha avuto il merito di alzare l’attenzione sul tema.
La presenza delle donne in politica è inferiore anche nei ruoli di cittadinanza attiva e ciò non è causato da mancanza di ambizione politica ma da difficolta, stereotipi di genere.
Nel 2018 in Italia le sindache erano solo il 13%, un numero che rispetto a 20 anni fa si è moltiplicato di 7 punti. Il ritratto della sindaca è quello di una donna giovane, laureata, di professione impiegata, spesso amministra comuni del nord e comuni piccoli. Nei consigli invece la percentuale delle donne è del 32%.
“Questo gender gap è frutto di un retaggio di stereotipo culturale – ha detto Ceruti -, spesso la donna è vista come assistente dell’uomo, l’ambizione femminile è vista come negativa e si ritiene che la donna debba scegliere tra vita pubblica e privata. Se una donna fa carriera i detrattori ne attribuiscono la causa alla bella presenza, alle quota rosa e ad altri fattori negativi. C’è un lavoro da fare da parte dei padri e delle madri per eliminare gli stereotipi e aprire le teste dei figli. Io credo che il futuro sia femminile, anche se c’è ancora molto da fare”.
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