La Moda è un settore chiave del Made in Italy nel mondo, con esportazioni che valgono 52,7 miliardi di euro e che nei primi 8 mesi del 2019 registrano un tasso di crescita del 7%, ritmo ben più accentuato del +2,4% del totale del nostro export. La crescita delle vendite all’estero supera il 9% sia per la pelle che per l’abbigliamento.
In chiave territoriale si osserva un maggiore peso del settore, in termini di occupazione, in Toscana (dove la Moda rappresenta l’8,8% dell’occupazione delle imprese della regione), nelle Marche (8,2%), nel Veneto (4,2%), in Umbria (4,0%) e in Abruzzo (3,4%), a fronte di una media nazionale del 2,8%
Nel 2018 la spesa delle famiglie per abbigliamento e calzature ha segnato un buon risultato, salendo del 2,3% a prezzi costanti, la migliore performance dal 2010, pur rimanendo su livelli ancora lontani dai massimi del 2011: nel biennio successivo alla crisi del debito sovrano (2011-2013) la domanda interna si è ridotta del 10,9% mentre nei successivi quattro anni è salita solo del 4,7%.
I dati sul comparto sono stati illustrati dall’Ufficio Studi venerdì scorso durante il seminario “Il lato oscuro del reshoring: il tema del giusto compenso nella supply chain” organizzato da Confartigianato Moda e Confartigianato Imprese Veneto in collaborazione con Confartigianato Marca Trevigiana e centrato sui temi del lavoro nero e del giusto compenso all’interno della filiera. Due facce di una stessa medaglia che potrebbero avere una parte di soluzione con una riforma dei reati in materia di lavoro nero e contraffazione che comprenda anche il sistema moda.
Le piccole imprese della Moda sono esposte alla concorrenza sleale del sommerso: il tessile abbigliamento e pelli è il comparto manifatturiero con il più alto tasso di lavoro irregolare, pari al 10,7%. La contraffazione, inoltre, toglie 9,0 miliardi di euro di ricavi alle imprese regolari del settore, una perdita di valore che si ribalta in una minore domanda di lavoro per 81 mila occupati.
Infine le criticità della delocalizzazione e della transnazionalità della supply chain. Le controllate estere delle multinazionali italiane destinano il 10,5% del loro fatturato verso l’Italia, ma nella Moda tale quota balza al 47,2%. La Moda è il settore manifatturiero maggiormente interessato dal regime doganale di perfezionamento passivo (TPP, traffico di perfezionamento passivo): il comparto pesa per il 44,9% delle esportazioni temporanee per trasformazione e il 53,8% delle reimportazioni di prodotti, in esonero parziale o totale dei dazi all’importazione.
Persistono i processi di delocalizzazione, mentre il reshoring appare un fenomeno ancora limitato. L’analisi dei dati Istat sul trasferimento della produzione all’estero evidenzia che nel periodo 2015-2017 il 3,3% delle medie e grandi imprese ha trasferito all’estero attività o funzioni svolte in Italia in sensibile rallentamento rispetto al periodo 2001-2006 quando addirittura il 13,4% delle imprese sopra i 50 addetti ha delocalizzato. La quota sale al 4,2% nell’ambito settoriale ‘a bassa tecnologia’ che comprende la Moda, con il 7,2% delle grandi imprese e il 3,8% delle medie imprese che delocalizza funzioni all’estero.
Le imprese interessate dal reshoring sono ancora poche: solo lo 0,9% delle medie e grandi imprese italiane ha riportato in Italia attività o funzioni già trasferite all’estero.
(Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)