In occasione della Festa della Donna ho chiesto a Benito Melchionna – Procuratore emerito della Repubblica, grande amico di Confartigianato Imprese Bergamo di parlarci della “condizione femminile oggi”.
Ecco la sua interessante relazione che vi invito a leggere per riflettere su cosa significa essere donna oggi, nell’era della complessità.
A tutti voi buona lettura e buona Festa della Donna!
Rita Messina Moretti
“LA CONDIZIONE FEMMINILE OGGI
1.- Biodiversità e diversità di genere
Per approfondire – con cognizione di causa e senza pregiudizi ideologici – la condizione femminile oggi, è utile richiamare anzitutto il complesso significato dei termini femmina (dal latino fecundus, fecondo, fonte di vita) e donna (dal latino domina, signora, padrona).
Dato che le parole creano il pensiero, il focus sulla duplice identità idiomatica femminile ci porta a considerare che tutto ciò che nasce, vive e si estingue in natura è il risultato – mai definitivo – di molteplici combinazioni tra energie e funzioni diverse.
Intanto, come ci mostrano le osservazioni degli astrofisici, è forse proprio questo l’“ordine globale” (del dantesco “sommo fattore”?) che governa la immensità degli spazi cosmici, le galassie e il caos dei buchi neri.
Del resto, lo stesso circuito vita-morte, che misteriosamente avvolge il nostro stupefacente piccolo pianeta, è plasmato dal continuo aggregarsi e dissociarsi di forze antagoniste.
Il medesimo scambio dinamico, da tempo indagato da psicologi e antropologi, anima poi la diversità di genere nel contesto della biodiversità, intesa come l’insieme degli innumerevoli organismi che vivono e si riproducono nei diversi ecosistemi naturali.
Perciò la legge costituzionale, approvata l’8 febbraio 2022, ha finalmente inserito la biodiversità nel catalogo dei principi fondamentali posti a tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e degli animali (art.9 Cost.), nonché della economia ambientale sostenibile (art.41 Cost.).
In questo nuovo assetto occupa ovviamente il primo posto la specie umana, da sempre al vertice della (crudele) catena alimentare, e distinta nella diversità di genere, in base all’appartenenza al sesso maschile, femminile o alle altre legittime manifestazioni della sessualità riscontrabili nella “incertezza” della natura.
La diversità, se potenziata dal raccordo tra le differenze, è dunque la vera ricchezza del mondo, la forza propulsiva dello sviluppo (economia) e del progresso (cultura); una sorta di alleanza che consente all’individuo (separato) di elevarsi al rango di persona (solidale) in grado di interrogarsi, di generare valori e di favorire l’inclusione.
Quando invece le diversità non trovano un’intesa, si va alla guerra, come quella in corso nell’Ucraina proditoriamente invasa dalla Russia.
Non è allora forse il tempo di provare ad affidare alle donne (quelle in gamba!) la gestione di una vera politica…di pace?
2.- Evoluzione storica della femminilità
Non disponendo di mezzi tecnologici efficaci, le civiltà primitive affidavano la sopravvivenza della specie alla forza fisica del maschio dedito alla caccia e alla ricerca di cibo, mentre alla femmina erano riservate la custodia degli idoli del focolare e la cura della prole.
Stante poi la promiscuità sessuale e la mancanza del matrimonio e di vincoli di parentela, l’atto di procreare secondo natura era all’epoca considerato solo funzionale all’accrescimento degli sparuti clan.
Ciò almeno fino al diffondersi del tabù (sacro, proibito) dell’incesto, che poi vietò i rapporti sessuali tra soggetti con stretti legami di sangue.
Nel travagliato secolare processo di civilizzazione, la gloriosa cultura classica greco-romana, da un lato esaltò la donna nella sua articolata coniugazione di dea mater, musa, sacerdotessa e matrona; escludendola, dall’altro, da ogni effettiva partecipazione alla vita pubblica.
Tale logica contraddittoria ebbe poi ad accentuarsi nella Età di mezzo.
Quando cioè, mentre i dolcestilnovisti cantavano l’amor cortese della donna angelicata, per opposta via i barbarici codici feudali escludevano il gentil sesso da qualsiasi accesso al potere economico e politico.
Altrettanto può dirsi poi quanto alle forti discriminazioni subìte dalle donne al tempo che seguì alle pur feconde stagioni artistiche e progressive dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Si pensi alla santa Inquisizione e ai pregiudizi del pomposo periodo barocco, quando veniva messa al rogo, per eresia e/o stregoneria, la donna vista come costola di Adamo, stereotipo del desiderio sessuale e responsabile della “mela” del peccato originale. Un equivoco, questo, dovuto alla confusione di uno sprovveduto amanuense medioevale, che aveva interpretato il termine “malum” (che in latino significa sia mela che peccato) identificando la “mela” con il “peccato”.
E’ poi storia recente la contrastata lunga lotta di emancipazione della donna dal monopolio maschile, attraverso battaglie portate avanti da diversi movimenti femminili spontanei nel corso dell’‘800 e del ‘900.
Infine, il seme della citata evoluzione storica germogliò nei princìpi della Costituzione repubblicana del 1948. La quale proclama, tra l’altro: la solidarietà politica, economica e sociale (art.2); la pari dignità sociale di tutti e l’uguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso (art.3); la libertà personale inviolabile di tutti (art.13); la protezione della maternità (art.31); la tutela della donna lavoratrice (art.37); il diritto di voto riconosciuto “a tutti i cittadini, uomini e donne” (art.48); l’accesso dei “cittadini dell’uno o dell’altro sesso” agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art.51).
3.- La identità della donna nell’era della complessità
Il filosofo greco Democrito (460-370 a.C.) sosteneva che l’uomo (da humus, terra…umiltà) è un microcosmo, un piccolo mondo che riassume in sé la struttura dell’universo e la complessità delle idee e dei sentimenti.
Questo significa che ogni essere umano è un “unicum”, una monade separata, con la propria intelligenza razionale ed emotiva e con il proprio libero arbitrio (responsabile).
L’istinto e i bisogni vitali portano però tutti – pur nella diversità di genere – a integrarsi con i propri simili, grazie al potere della seduzione estetica, dei lacci (spesso precari) della trasgressione amorosa e dei più saldi vincoli affettivi; per questo la convivenza è disciplinata dalle regole, in continua evoluzione, del diritto, della morale e del costume.
Le suddette convenzioni mirano a riequilibrare le diversità, facendo valere anche la teoria della parità di genere; appunto come fa la nostra Costituzione nei richiamati principi di pari dignità sociale di tutti, e di uguaglianza davanti alla legge, senza – tra l’altro – distinzione di sesso.
Dalle sopra citate fonti prende avvio, e si va oggi rafforzando, una più evoluta identità femminile (fisica, etica e…digitale). Una identità che porta la donna a fruire di più ampi spazi di libertà, consentendole di potersi ormai considerare (quasi!) del tutto emancipata rispetto alle discriminazioni e alle limitazioni a cui era rimasta assoggettata fino a pochi decenni fa (il delitto di onore venne cancellato solo nel 1981).
Occorre tuttavia evitare le trappole di una difesa ad oltranza e anarchica della propria unicità, che inevitabilmente genera tante, differenti solitudini; come quelle che spesso separano genitori e figli, spengono i legami di coppia e congelano le relazioni umane in genere.
Per questo le scienze psicologiche mettono in guardia dal diffuso disagio psichico (aumentato dalla pandemia Covid-19) prodotto dalla attuale società libera, complessa e competitiva, sempre più veloce (cioè superficiale), con l’imperativo di apparire ad ogni costo performanti e vincenti.
A farne le spese sono per prime le donne più impegnate, definite multitasking, che spesso affrontano da sole una fitta folla di doveri e di obiettivi concomitanti (maternità, professione, svago, culto della bellezza endless…), mentre i partners legati a modelli del passato risultano quasi sempre poco collaborativi.
Dalla impossibilità di soddisfare pienamente tante “responsabilità” derivano sensi di colpa, frustrazioni e insicurezze. Con conseguente perdita di autostima e rischio di sofferta impazienza, certamente poco consona alla temperanza propria della sensibilità femminile.
Per questo non ha molto senso la festa delle donne (women’s day, 8 marzo) quando è espressione della retorica della “parità”; una sorta di forzata omologazione che non giova neppure alla reale affermazione della originalissima (antica e nuova) identità femminile.
Benito Melchionna – Procuratore emerito della Repubblica“
Per informazione e contatti
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