HARD BREXIT: POSSIBILI RISCHI PER I LAVORATORI ITALIANI DISTACCATI E PER LA CIRCOLAZIONE DEI DATI PERSONALI

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Son già passati due anni e mezzo da quel 23 giugno 2016, giorno in cui la maggioranza dei cittadini del Regno Unito ha votato il Leave anglosassone dall’Unione Europea.

 

Come nei migliori matrimoni, però, nonostante i numerosi sforzi fatti dalle istituzioni britanniche e dall’Europa per trovare un Deal in grado di gestire al meglio la situazione, ad oggi le circostanze non sembrano ancora propizie per una separazione serena.

 

Dopo l’ennesima, recente, triplice bocciatura da parte del Parlamento di Londra del Piano di accordo presentato dal Premier Theresa May per l’uscita dall’Unione Europea, la nuova scadenza all’orizzonte pare oggi fissata per il 12 aprile 2019.

 

Data entro la quale il Primo Ministro dovrà riuscire a convincere l’UE a prorogare i termini per lo studio di un definitivo accordo ovvero, diversamente, giornata spartiacque di una Hard Brexit sempre più inevitabile.

 

Ad aumentare le tensioni tra le Parti, ed avvalorare il rischio della seconda ipotesi ci hanno pensato nei giorni scorsi sia la stessa Premier May, la quale in più occasioni ha dichiarato ai tabloid britannici la necessità per il Regno Unito di fare una scelta netta e coerente con la volontà popolare, sia il portavoce capo della Commissione di Bruxelles, Margaritis Schinas, il quale ha fatto sapere a chiara voce che l’Europa, senza il voto favorevole all’accordo da parte del Parlamento britannico, non è intenzionata a prorogare nuovamente i termini concessi.

 

A prescindere dalla gestione “politica” dell’intera questione, nel caso del mancato raggiungimento di un accordo tra l’UK e l’UE ciò che più preoccupa gli operatori coinvolti è, soprattutto, il considerevole e concreto rischio al quale può andare incontro l’economia e la finanza non solo di sua Maestà ma di tutta l’Eurozona, Germania compresa.

 

Perdita di fiducia da parte dei finanziatori stranieri, trasferimento di sede delle più importanti multinazionali ed istituti bancari, rinegoziazione delle norme doganali, modifica delle norme sulla libera circolazione d’informazioni e possibile rivoluzione globale delle politiche concernenti il mercato del lavoro.

 

Sebbene in questo momento nel piano di governo non siano state previste modifiche legislative restrittive alla circolazione del personale in distacco lavorativo, nel caso in cui la Gran Bretagna non dovesse trovare un accordo con Bruxelles, salvo negoziazioni specifiche, inesorabilmente i rapporti con il mondo anglosassone subiranno una modifica.

 

Fin da subito bisogna pertanto riflettere su ciò che potrà succedere, preparandosi anche a nuovi scenari (o passi indietro), compresa, per assurdo, l’ipotesi di un’eventuale chiusura del mercato inglese alla libera circolazione di persone e merci.

 

Oggi, grazie alle comuni direttive comunitarie sulla circolazione di personale distaccato, tutti i Paesi membri hanno adottato le medesime norme sia in tema di parità di trattamento dei lavoratori in trasferta sia in merito ai diritti inderogabili relativi alle condizioni di lavoro e di parità di trattamento nonché per la scelta del Foro competente nel caso di contenziosi transfrontaliero successivo ad una trasferta.

 

Non bisogna comunque sottovalutare che, nel caso di un mancato accordo dell’UK con l’Europa, una scelta tranchant del governo britannico porterebbe a considerare un cittadino membro dell’Unione tale e quale ad un cittadino straniero extraeuropeo. Ipotesi non del tutto peregrina considerato che il primo passo in tal senso è già stato fatto dalla Gran Bretagna con la decisione, presa settimana scorsa, di eliminare dai propri Passaporti la dicitura “European Union”.

 

Un intervento dovrà quindi attendersi ed essere per forza adottato in quanto il caposaldo del mercato unico può essere controllato solo attraverso un accordo serrato ed uniforme con Bruxelles.

 

Nella totale incertezza sul futuro prossimo, per quanto concerne i rapporti di distacco lavorativo di lunga durata in UK, può perciò diventare utile ipotizzare sin da ora strumenti di tutela volti ad arginare, per quanto possibile, le criticità del mercato, tra i quali vi può essere l’inserimento nei contratti d’assunzione con i dipendenti distaccati (con ratifica in sede protetta) di alcune clausole speciali come quelle di elezione del Foro competente e della legge applicabile al rapporto di lavoro nel caso di contenzioso futuro, oppure relative alla gestione del rapporto medesimo per il periodo di distacco lavorativo presso il territorio britannico poiché, invero, in assenza di una espressa pattuizione contrattuale, potrebbero innescarsi conflitti di competenza fra le diverse giurisdizioni con ovvi problemi per gli imprenditori italiani operanti nel Regno Unito.

 

Altra ipotetica criticità da tenere in considerazione in questo periodo di transizione è la posizione previdenziale dei lavoratori italiani utilizzati per prestazioni da svolgersi in terra inglese. In assenza di accordi bilaterali con i singoli paesi, la Brexit potrebbe infatti comportare la decadenza del sistema previdenziale uniforme attualmente vigente nell’Unione Europea che garantisce il pagamento dei contributi nel Paese di origine del lavoratore per almeno 24 mesi. Il datore di lavoro italiano potrebbe ritrovarsi ad essere costretto a versare i contributi sia in Italia sia in UK per un dipendente distaccato con problemi non solo di tipo economico per l’impresa ma anche con effetti negativi sulla posizione contributiva del lavoratore stesso che potrebbe ritrovarsi con doppi versamenti non ricongiungibili ed una pensione smorzata e ridotta per il minor versamento contributivo durante gli anni di prestazione lavorativa svolti all’estero.

 

Di non minor preoccupazione, appaiono da parte degli operatori anche le incertezze che un mancato accordo potrebbe portare in tema di libera circolazione dei dati personali.

 

Anche in questo caso, nell’eventualità di un No Deal di Londra con l’Unione Europea, salvo un ipotetico specifico accordo tra le Parti volto a regolamentare la materia, il Regno Unito dovrà inesorabilmente considerarsi per l’Europa come uno Stato terzo, e per l’effetto, la normativa prevista dal Regolamento Ue n. 2016/679 (cd. “GDPR Privacy”) troverà applicazioni così come già prescritto per la circolazioni dati con Paesi extracomunitari.

 

Si dovrà pertanto applicare l’art. 44 del GDPR, nel quale è previsto che Qualunque trasferimento di dati personali oggetto di un trattamento o destinati a essere oggetto di un trattamento dopo il trasferimento verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale, compresi trasferimenti successivi di dati personali da un paese terzo o un’organizzazione internazionale verso un altro paese terzo o un’altra organizzazione internazionale, ha luogo soltanto se il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento rispettano le condizioni di cui al presente capo, fatte salve le altre disposizioni del presente regolamento”, nonché i successivi articoli 45, 46 e 47 normanti l’adeguatezza, le garanzie e le norme vincolanti al trasferimento garantito.

 

Sebbene, infatti, il Regolamento sulla privacy lasci margini di autonomia all’UE, prevedendo la possibilità di stipulare accordi internazionali che garantiscano un’adeguata tutela agli interessati, tale ipotesi resta comunque una decisione che dovrà prendere sempre e comunque Bruxelles e che, inevitabilmente, qualora la Premier May volesse continuare il braccio di ferro con l’Europa, difficilmente vedrà una sua facile realizzazione.

 

Sul tema, dunque, i possibili rischi a cui le imprese ed i cittadini italiani potranno andare incontro nel caso di una drastica separazione del Regno Unito dall’UE riguardano soprattutto il pericolo di non riuscire più a tracciare e controllare i flussi dei propri dati e delle proprie informazioni.

 

Conclusivamente, ad oggi, anche per la circolazione dei dati personali in virtù dell’alto grado d’incertezza ed in considerazione della mancanza di strutture istituzionali europee in grado di garantire controlli tempestivi e vigilanza costante dei flussi d’informazione transfrontalieri è ipotizzabile prevedere che per tutelare i propri dati, in caso di mancato accordo con il governo britannico, le società debbano iniziare a riflettere sulla necessità di introdurre nei propri contratti e nei rapporti quotidiani con i propri Partners inglesi, clausole-tipo di protezione dei dati o clausole di protezione dei dati ad hoc, norme vincolanti d’impresa, codici di condotta, adeguamento della normativa privacy e meccanismi di certificazione.

 

Dott. Alberto Vantaggiato – Missale & Partners

 

 

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