Tutto era partito da un «SOS» arrivato via mail, un lunedì pomeriggio, al presidente di Confartigianato Imprese Bergamo. L’emergenza Covid era entrata nel pieno della sua drammaticità e l’Ana Bergamo aveva urgente bisogno di personale specializzato per realizzare in tempi strettissimi l’ospedale da campo alla Fiera di via Lunga, potendo così dare una boccata di ossigeno alle aziende ospedaliere al collasso.
L’appello era stato subito rilanciato, tramite mail e social, alle imprese associate. Ci si aspettava l’arrivo di qualche imprenditore e invece, già la sera stessa, decine di artigiani si erano presentati e il giorno dopo in cantiere c’erano oltre 200 muratori, carpentieri, falegnami, cartongessisti, imbianchini, idraulici, impiantisti tecnici del gas ed elettricisti, pronti a mettere a disposizione gratuitamente il loro tempo, i loro materiali, il loro lavoro e la loro passione, per un obiettivo comune.
Accadeva esattamente oggi, un anno fa: era il 23 marzo 2020.
Quel giorno, alle 18.36, cominciava a prendere vita quell’opera straordinaria di solidarietà verso una comunità ferita: l’ospedale da campo gestito dall’azienda ospedaliera Papa Giovanni e affidato ai medici di Emergency, una struttura di eccellenza resa operativa dopo appena dieci giorni di lavoro, con i suoi 142 posti letto, 72 dei quali destinati alla terapia intensiva e sub-intensiva.
«A un anno di distanza dall’inizio di questa pandemia che ha profondamente cambiato le nostre vite – afferma il presidente di Confartigianato Imprese Bergamo Giacinto Giambellini – le televisioni e i mass media ci stanno ricordando quasi quotidianamente, come un triste rosario, date di anniversari che vorremmo tutti dimenticare, come il primo paziente positivo o il primo giorno del lungo lockdown. Ma c’è una data che per Bergamo e i bergamaschi rappresenterà per sempre un anniversario di speranza, di generosità, di orgoglio e di amore incondizionato per la propria terra: quella data è il 23 marzo. Proprio da quella sera, infatti, mi sono trovato nel cantiere della Fiera coi miei artigiani e insieme abbiamo iniziato a costruire quel “miracolo”, perché tale è stato, reso possibile grazie allo spirito di comunità e alla passione di tanti volontari che hanno lavorato notte e giorno».
«Molti imprenditori – aggiunge – avevano le saracinesche abbassate, i collaboratori in cassa integrazione, non sapevano quale sarebbe stato il loro futuro e neppure se avrebbero potuto beneficiare dei “ristori”. Eppure, da buoni bergamaschi, non se lo sono fatto ripetere due volte e hanno subito risposto “sì”, proprio nei giorni in cui la pandemia stava colpendo con forza tutta la provincia e il rischio di contagio era altissimo. Perché i nostri artigiani, quando serve aiuto, sanno esprimere il meglio di sé, rimboccarsi le maniche e lavorare a testa bassa per portare a casa un risultato».
Alla fine, sono state oltre 300 le imprese artigiane, assieme ad altrettanti loro collaboratori, che hanno donato la loro opera offrendo più di 20 mila ore di lavoro «ed è grazie a questo che è sorto quello che tanti hanno chiamato “l’ospedale degli artigiani”». Un «miracolo», come lo ha definito il presidente di Confartigianato Imprese Bergamo, che si è ripetuto una seconda volta, sette mesi dopo, al fine di permettere all’ospedale da campo di affrontare anche la seconda ondata d’autunno.
«Siamo riusciti a creare un modello di efficienza, collaborazione ed eccellenza – aggiunge – che non solo è stato riconosciuto a livello nazionale ma che è stato perfino preso ad esempio da altri territori che lo hanno replicato».
Un modello di efficienza che sta continuando ad essere indispensabile per affrontare la pandemia, in quanto, rientrata l’emergenza dei posti letto, l’ospedale da campo è ora diventato uno dei principali hub vaccinali della provincia.
Il lavoro in Fiera e l’impegno dei volontari ha avuto un’eco mediatica davvero grandiosa, ripresa da numerosi servizi su tg nazionali e trasmissioni di inchiesta (in particolare un video nella trasmissione Mediaset “Le Iene” girato durante i lavori dal giornalista palermitano Ismaele La Vardera, che a sua volta, partito da Palermo, si è unito ai volontari come operaio tuttofare).
I registi Ambrogio e Luigi Crespi hanno voluto fissare immagini e racconti di questa esperienza straordinaria nel loro docu-roadmovie “A Viso Aperto”, unico film girato nelle zone più colpite dalla pandemia mentre il virus impazzava.
Perfino l’efficacia della comunicazione interna (in particolare l’uso dello strumento della Intranet), grazie a cui Confartigianato è riuscita a chiamare a raccolta le maestranze creando in poche ore questa «unione di forze», è stata sottolineata in un libro, “Tempo di IoP. Intranet of People” (Dario Flaccovio Editore) scritto dal giornalista scrittore Filippo Poletti.
Nei mesi successivi, poi, le iniziative di solidarietà si sono moltiplicate, come il progetto «Adotta una pallina di Natale» i cui proventi sono stati devoluti alla scuola per bambini in lunga degenza del Papa Giovanni XXIII.
E il marchio Utility Diadora, come gesto di riconoscenza, ha donato 500 paia di scarpe agli artigiani bergamaschi che si sono impegnati nella costruzione dell’ospedale, nell’ambito della campagna #costruiamoIlNostroFuturo lanciata congiuntamente a Confartigianato.
LA TESTIMONIANZA DELL’ARTIGIANO ENZO ZANCHI
«Da una settimana ero a casa, quando ho ricevuto la mail che chiedeva artigiani disponibili per l’ospedale da campo. Non ci pensato due volte e mi sono detto: devo andarci subito, la nostra comunità ha bisogno di noi! Poi, ho la fortuna di essere ancora giovane, in forma, lo devo fare: infatti la mattina dopo, alle 7, ero lì».
A distanza di un anno, quando racconta quella straordinaria esperienza che ha segnato la sua vita, non riesce ancora a nascondere la commozione Enzo Zanchi, 37 anni, tinteggiatore di Stezzano. Padre di due figli (una bambina di 12 anni e un bambino di 8), Enzo è stato uno dei primi volontari ad aver risposto all’appello di Confartigianato e, per dieci giorni, non solo ha lavorato tinteggiando pareti mobili, ma ha vissuto alla Fiera di via Lunga, dormendo in una tenda del 3° reggimento «Aquila».
«In quei giorni c’era tanta paura del contagio e, giustamente, la mia compagna non voleva che tornassi a casa – ricorda – così ci sentivamo telefonicamente: non poter abbracciare la mia famiglia, i miei bambini, non è stato facile. Ma alla fine, vedendo ciò che siamo riusciti a realizzare, tutti insieme, come una famiglia, ho capito di aver vissuto un’esperienza irripetibile e l’emozione è stata fortissima».
Quando quella prima mattina Enzo si è presentato, si è accorto che il lavoro da fare era parecchio e i pochi imbianchini che, come lui, avevano risposto all’appello non sarebbero bastati: «Così abbiamo sparso la voce. Io ho anche realizzato un video su Facebook a cui hanno risposto amici e conoscenti: il giorno dopo si sono presentati in tantissimi e io mi sono ritrovato a fare da coordinatore alla squadra dell’imbiancatura. Devo dire che, nonostante lavori sui cantieri da 23 anni, sono rimasto stupito dalla perfetta gestione di un’opera che si stava progettando giorno per giorno».
Tra la squadra di artigiani che hanno vissuto quotidianamente la sua realizzazione si è creata anche una bella amicizia. «Ancora oggi – conclude Enzo – ci sentiamo sul nostro gruppo whatsapp e non c’è mattina in cui non ci scambiamo il buongiorno. Tra noi sono nate anche delle collaborazioni di lavoro: per me sono una seconda famiglia».