L’Italia è il primo paese dell’Unione Europea a 27 per occupazione dei settori del tessile, abbigliamento e pelli. La moda, punta di diamante del made in Italy nel mondo, è il comparto manifatturiero che ha maggiormente sofferto gli effetti della recessione. La caduta dei ricavi nella moda registrati nel 2020 è del 21,2% di intensità doppia della media delle imprese, con minori vendite per 17,9 miliardi di euro. Se consideriamo i tredici mesi della pandemia, da marzo 2020 a marzo 2021, la perdita di fatturato rispetto ai 13 mesi precedenti sale a 20,6 miliardi di euro.
Sul fronte della domanda interna, nel 2020 i consumi delle famiglie per vestiario e calzature si è ridotto di 12,6 miliardi di euro, con un calo del 19,7%.
Sui mercati esteri, le esportazioni della moda nel 2020 diminuiscono di 11,2 miliardi di euro, pari ad una caduta del 19,5%, intensità quasi doppia rispetto alla media della manifattura (-10%). La crisi del sistema moda si estende a fronte dei pesanti cali registrati dalle esportazioni della gioielleria e dell’occhialeria.
Prosegue l’upgrade qualitativo del made in Italy della moda – Nel 2020 i valori medi unitari delle esportazioni dei prodotti di abbigliamento salgono del 7,7% a fronte di un aumento dei prezzi all’export dell’1,9%, evidenziando la crescente qualità intrinseca dei prodotti della moda venduti all’estero dalle imprese della moda.
Lo spunto positivo della produzione ad aprile – L’analisi dei dati pubblicati giovedì scorso dall’Istat evidenzia ad aprile 2021 un aumento della produzione manifatturiera dell’1,7% rispetto a marzo, con una maggiore accentuazione per la moda che registra un aumento del 3,6%, e che risulta migliore del +0,5% dell’UE a 27. Da fine 2020 la produzione nella moda è salita del 4% a fronte del +3,2% della media della manifattura.
Nel 2021 un quarto di produzione in meno rispetto ai livelli pre Covid – Il recupero in corso non è ancora sufficiente per compensare la drammatica caduta di attività nel corso della pandemia: nei primi quattro mesi del 2021 nella moda si registra un livello della produzione, senza correzioni per il calendario, inferiore del 25,6% rispetto al primo quadrimestre del 2019, anno pre Covid, a fronte di un divario negativo dell’1,3% per il totale della manifattura, con 13 comparti su 24 comparti che registrano un livello della produzione nei primi quattro mesi del 2021 superiore a quello del primo quadrimestre del 2019.
Alcuni segnali di stress dei fattori produttivi – Si iniziano a registrare qualche tensione sui prezzi delle materie prime (una crisi già conclamata in diversi settori) anche nella filiera della moda. A maggio 2021 i prezzi internazionali del cotone segnano un aumento del 38,3% e quelli della lana del 27,5%. Le attese sui prezzi per le imprese del tessile registrano un saldo di 27,2 in salita rispetto al 16,4 di aprile, superando il precedente picco del 2018 e tornando sui livelli di dieci anni prima: bisogna tornare ad aprile 2011 per ritrovare un saldo più elevato. Segnali più attenuati per pelle (saldo a +14,1) e abbigliamento (saldo a +2,3).
Nonostante la congiuntura debole, a fronte della trasformazione in corso nel sistema della produzione e delle modifiche della domanda di lavoro, si osserva un elevata difficoltà di reperimento di personale: secondo gli ultimi dati di Unioncamere-Anpal relativi a giugno 2021, delle 8.960 entrate previste per operai specializzati e conduttori di impianti nel tessile-abbigliamento, il 44,6% è di difficile reperimento, una quota di 13,9 punti più elevata della media del 30,7%.
Moda italiana ad alta la vocazione artigiana – Nei settori della moda sono attive 55 mila micro e piccole imprese con 309 mila addetti, il 66,6% dell’occupazione del settore e operano 36 mila imprese artigiane, che danno lavoro a 157 mila addetti, un terzo (33,8%) dell’occupazione del settore.