I TRASPORTATORI DI CONFARTIGIANATO: “NO ALL’AUMENTO DELLE ACCISE SUL GASOLIO”

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«Se la proposta di aumentare l’accisa sul gasolio diventasse realtà, sarebbe un altro durissimo colpo per il settore dell’autotrasporto merci, già fortemente penalizzato da una tassazione tra le più elevate d’Europa e dalla concorrenza sleale dei vettori esteri».

L’Area Trasporto di Confartigianato Imprese Bergamo ribadisce il suo “no” alla proposta del ministero dell’Ambiente (dopo una consultazione online rivolta a cittadini e imprese) che potrebbe portare ad aumentare il prezzo del diesel aumentandone le accise. Uno dei rischi più grandi è quello di compromettere irrimediabilmente la competitività di 90 mila imprese dell’autotrasporto italiano delle quali circa 2.200 operano nella bergamasca: un settore che nell’ultimo decennio ha già visto ridurre di quasi il 30% il numero delle aziende.
Già nelle scorse settimane, le associazioni dell’autotrasporto, della logistica e del commercio carburanti hanno inviato al Governo un appello comune con la richiesta di rivedere questa proposta, evidenziando tra l’altro come “oltre il 95% del parco circolante veicoli adibiti al trasporto merci è alimentato a gasolio e l’incremento delle accise si tradurrebbe in un aumento dei costi del trasporto con l’inevitabile aumento dei prezzi dei beni di consumo”.

Confartigianato Trasporti ha anche stilato un documento, elencando “Dieci motivi per non aumentare le tasse e indebolire autotrasporto e consumi”, supportati da un rapporto dell’Ufficio Studi di
Confartigianato. Tra i dati rilevati, viene evidenziato come l’Italia sia il paese dell’Unione Europea a 27 con il maggior prelievo di accise sul gasolio: ad agosto 2020, le accise sul gasolio per autotrazione sono state del 21,2% superiori rispetto alla media dei competitor dell’Eurozona e del 28% al di sopra della media UE.

«La cosa certa – rimarca Bruno Dario Mongodi, rappresentante dell’Area Trasporto di Confartigianato Imprese Bergamo e vicepresidente nazionale di Confartigianato Trasporti – è che l’aumento del prezzo del diesel inciderà sul costo delle merci, che in Italia viaggiano prettamente su gomma. Non riusciamo a capire perché ci si accanisca contro un settore, che anche nel pieno della recessione causata dal Covid-19 sta operando a fatica in un contesto caratterizzato dalla più elevata pressione fiscale d’Europa (nel 2020 la pressione sulle imprese italiane è del 42,9%: 1,4 punti superiore al 41,5% della media dell’Eurozona), senza far nulla per risolvere i veri grandi problemi che mettono in difficoltà le nostre imprese».
Uno su tutti è la concorrenza sleale con cui il comparto sta facendo i conti da troppo tempo e la questione del cabotaggio da parte dei vettori esteri.
«Il 73% del nostro settore – spiega Mongodi – oggi è appannaggio dei vettori esteri, i quali vengono in Italia con mezzi dotati di doppio serbatoio, dopo aver fatto rifornimento nei loro Paesi di origine, in cui la tassazione è nettamente inferiore. È quindi inutile far pesare le accise sugli autotrasportatori italiani, sostenendo che lo si fa per incentivare il trasporto ecologico, se poi la maggior parte dei vettori circola senza rifornirsi in Italia e con meno costi da dover sopportare rispetto ai loro “colleghi” italiani: con  serbatoi da 1.200 – 1.500 litri possono infatti viaggiare tranquillamente anche per dieci, quindici giorni.
Semmai le accise andrebbero ridotte sulla benzina, considerato che molte risalgono fino a 80 anni fa».
C’è infine un altro problema che pone in evidenza il rappresentante dell’Area Trasporto, e riguarda i mezzi per il trasporto eccezionale e il loro impatto sui manti stradali.
«È sotto gli occhi di tutti la situazione disastrosa in cui versano molte infrastrutture, che necessitano di manutenzioni straordinarie in modo pressoché continuativo. Il fatto è che, contrariamente a quanto succede in altri Paesi UE, in Italia si autorizzano grosse aziende di trasporto eccezionale a percorrere le strade con mezzi fino a mille quintali a pieno carico, quando nel resto d’Europa il limite concesso è di 670 quintali. L’effetto è che alla fine viene sprecato denaro pubblico per rifare il manto stradale rovinato. Ci vorrebbe un po’ più di logica e di coerenza da parte di chi dovrebbe decidere», conclude Mongodi.

 

 

 

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