Il pane è un alimento primario nel settore alimentare. Come per tutti gli alimenti è sottoposto ad una serie di controlli sia in fase produttiva che di commercializzazione. Con regole ben precise. Il pane inoltre può essere venduto sfuso o confezionato.
Non sempre però può essere venduto sfuso. Quando deve obbligatoriamente essere venduto confezionato? Quando è parzialmente precotto, surgelato o meno, e la sua cottura deve essere completata in un secondo momento. E c’è di più: il prodotto va anche ben distinto da quello fresco e deve essere corredato da specifica etichettatura che informi il consumatore sulle modalità di preparazione. Lo ribadisce una sentenza del Consiglio di Stato dello scorso ottobre, che è stato chiamato in appello e ha confermato il rifiuto del ricorso al Tar fatto da un supermercato pugliese contro l’Asl di Lecce.
È sempre più ricorrente soprattutto nei supermercati l’utilizzo di contenitori, in cui viene riposto il pane sfuso di solito proveniente da cottura di pane precotto precedentemente, a disposizione dei clienti che, seguendo le indicazioni apposite riportate accanto agli stessi contenitori possono ritirarlo, inserirlo in appositi sacchetti, pesarlo con un riferimento numerico, stampare la scontrino con relativo prezzo, peso ed informazioni di legge ed apporlo sullo stesso sacchetto.
La motivazione del sequestro risiedeva nel fatto che un cliente senza dotarsi di appositi guanti aveva prelevato da un apposito erogatore a cassetto alcuni pezzi di pane precotto, dopo averne toccati con le mani diversi di questi, e li aveva imbustati, prezzati ed acquistati, e ciò era avvenuto senza la presenza di un operatore che potesse controllare il rispetto delle modalità di prelievo ed acquisto da parte della clientela.
Il Consiglio di Stato al proposito ha richiamato le norme che prevedono l’obbligo del preconfezionamento per il pane ottenuto per cottura del pane parzialmente cotto, surgelato o meno, sia l’art. 14 comma 4 delle Legge 580/67, che l’art. 1 del Regolamento sulla revisione della normativa in materia di lavorazione e commercio del pane, approvato con DPR 30 novembre 1998 n. 502.
Entrambi i provvedimenti stabiliscono che oltre che preconfezionato il pane deve essere etichettato secondo le indicazioni previste dalla normativa vigente e posto in vendita in comparti separati da quelli in cui viene collocato il pane fresco informando il consumatore sulla natura del prodotto.
La Corte, oltre a reputare chiare le disposizioni sul preconfezionamento, sia quella primaria che quella regolamentare, ritiene che solo in via eccezionale le operazioni di preconfezionamento possano avvenire nella medesima area di vendita fatte salve le norme igienico-sanitarie. Comunque, nemmeno la deroga all’obbligo del preconfezionamento in un’area diversa da quella di vendita consente la vendita di pane non preconfezionato.
Nella fattispecie pertanto Il Consiglio di Stato, rilevando che la modalità di vendita utilizzata dall’impresa ricorrente non dà garanzie sull’igiene e la sicurezza alimentare, finalità evidenziata dalla disposizione regolamentare, in quanto permette al consumatore, prima del confezionamento, di entrare in contatto con il pane e riporlo poi nell’erogatore, danneggiando altri futuri ed ignari clienti, dichiara non ammissibile il ricorso di primo grado, sancendo come illegittima la prassi, adottata soprattutto nella grande distribuzione (GDO), di consentire direttamente ai clienti il confezionamento del pane.
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